In 155 pagine la Cassazione risponde ai venti motivi di ricorso della difesa, che sollevava diverse obiezioni, contestando la prova del Dna, la “catena di custodia” e i kit utilizzati. La Cassazione biasima i “reiterati tentativi di mistificazione degli elementi di fatto”, “amplificate da improprie pubbliche sintetizzazioni”.
“Profilo genetico confermato da 24 marcatori” – “La probabilità di individuare un altro soggetto con lo stesso profilo genotipico”, evidenza la Corte, equivale a “un soggetto ogni 3.700 miliardi di miliardi di miliardi di individui. I giudici di merito – si legge nella sentenza – hanno correttamente affermato che il profilo genetico è stato confermato da ben 24 marcatori, evidenziando a maggiore tutela dell’imputato, che la certezza dell’identificazione è particolarmente solida”, in quanto le linee guida scientifiche individuano un soggetto “con l’identità di soli 15 marcatori”.
Dna di Bossetti non presente nelle vecchie banche dati – Rispondendo all’obiezione sulla catena di custodia, la Corte afferma che il Dna di Bossetti “non era presente nelle banche dati all’epoca disponibili e che sono state ampiamente e ripetutamente consultate proprio allo scopo di identificare “Ignoto 1″, sicché è impossibile ipotizzare una contaminazione dei reperti prelevati all’inizio del 2011 con il profilo dell’ imputato che è stato acquisito soltanto tre anni dopo”.
Negata la perizia – Quanto alla richiesta della difesa di una perizia, i giudici spiegano che vi si ricorre in caso di “evidenza dell’utilizzo di una metodica errata o superata e dell’esistenza di un metodo più recente e più affidabile”: “nulla di tutto questo emerge dagli atti”.
“Illogica l’ipotesi di un complotto” – Nelle motivazioni, la Cassazione ha quindi escluso categoricamente l’ipotesi di un complotto: “Visto che la difesa ha utilizzato l’argomento anche in sede extra porcessuale, è bene chiarire che la genericissima ipotesi della creazione in laboratorio del Dna dell’imputato, oltre ad appartenere alla schiera delle idee fantasiose prive di qualsiasi supporto scientifico e aggancio con la realtà, è manifestamente illogica”.
“Fantasiosa l’ipotesi di una contaminazione volontaria” – “Se si volesse seguire la tesi complottista legata anche alla necessità di dare in pasto all’opinione pubblica un responsabile è evidente che – ammessa solo per ipotesi la reale possibilità di creare in laboratorio un Dna – si sarebbe creato un profilo che immediatamente poteva identificare l’autore del reato senza attendere, come invece è accaduto, ben tre anni”, si legge ancora. Così come è “fantasiosa l’ipotesi di una contaminazione volontaria da parte di terzi prima del ritrovamento del corpo della vittima”.